II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Meditazione sulle letture della domenica a cura di Don Franco Proietto, padre spirituale
ASCOLTIAMO LA PAROLA
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,29-34)
Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».
L’agnello e il servo
Per capire, in questo contesto, chi sia veramente Gesù bisognerà necessariamente far riferimento al significato simbolico e anche letterale della originale parola aramaica che indica l’agnello, “talya”, che significa agnello e servo.
Sono vari e importanti i testi ai quali dobbiamo riferirci e che gli Ebrei che ascoltavano Giovanni il Battista conoscevano. Gesù – dice Giovanni – è l’agnello che toglie il peccato del mondo.
Il peccato, non i peccati, secondo san Giovanni, è soprattutto quello dell’incredulità e quello dell’odio. Il peccato è il sostrato negativo, l’atteggiamento contro Dio da cui nascono conseguentemente tutti i vari peccati.
L’agnello dell’Esodo
Nella notte in cui il popolo di Israele inizia il suo cammino attraverso il deserto, verso la Terra Promessa, l’agnello diventava il simbolo della liberazione politica e spirituale, dalla oppressione degli Egiziani (cfr Esodo 12,21 ss). All’agnello immolato non venivano spezzate le ossa (v. 46); così a Gesù, morto, secondo Giovanni, alla vigilia della Pasqua, quando venivano immolati gli agnelli, non gli hanno spezzato nessun osso, cioè non gli furono spezzate le gambe, come invece era uso fare a tutti i morti in croce (leggiamo Es 3,13).
Il servo di JHWH come agnello
Il secondo riferimento biblico dell’agnello che è Gesù, lo abbiamo nel secondo Isaia, cap. 53: è il “servo” che si sta avviando alla passione e alla morte. “Era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori” (53,7).
Il servo è una immagine simbolica che in sé rappresenta tutto un popolo e nello stesso tempo rivela Dio come liberatore. Per questo la liberazione che si ha davanti al cuore non è solo quella specifica del popolo di Israele dall’oppressione dell’Egitto, ma ha un significato universale: ognuno che si trova in quelle condizioni di schiavitù, viene liberato.
Le immagini di Gesù portatore di un agnello sulle sue spalle, presente nelle catacombe primitive vogliono indicare proprio questo: non solo di aver cercato e trovato la pecorella smarrita, ma ci danno l’immagine di un pastore che si sacrifica per togliere ad ogni uomo la possibilità di peccato. Di più Gesù è l’agnello sacrificale che si offre per espiare il peccato del mondo intero (leggiamo Is 53,3-8).
L’agnello in trono
C’è un terzo significato dell’Agnello e questo ce lo offre il libro dell’Apocalisse: un agnello vittorioso che avrebbe distrutto ogni potere del male, ogni peccato, ogni ingiustizia dalla faccia della terra.
L’agnello, oltre a togliere ogni schiavitù, è anche colui che dà il perdono, una speranza nuova per l’umanità.
La visione dell’Agnello glorioso è la certezza della nostra futura immortalità. Ap 5,9: «E cantano un cantico nuovo, e dicono: “Sei degno di prendere il libro e aprirne i sigilli, perché fosti ucciso e hai riscattato a Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua e popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno, e ne hai fatti sacerdoti ed essi regneranno sulla terra …».
v.12: «È degno l’Agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, la ricchezza, la Sapienza, la forza, l’onore, la gloria, la benedizione».
Il senso per la vita del mondo
Questo ci dice oggi la Parola di Dio, questi sono i suoi insegnamenti: un agnello che libera dal peccato, un agnello che si sacrifica per gli altri, un agnello che, attraverso la sofferenza e la morte, redime, dà speranza.
Ma, detto francamente, il mondo di oggi si pone in qualche modo di fronte a queste realtà, che sembrano appartenenti ad un’esistenza poco concreta, non tangibile, infinite figlie di un mondo che non esiste più, perché, pur consapevoli che “l’essenziale è invisibile agli occhi”, non incidono nei confronti di una umanità scientifica e tecnica? Manca proprio l’aggancio con queste verità che sono belle, ma lontane.
Nella vita pastorale non ci si incontra con gente che sia disponibile ad affrontare problemi che diano il senso alla vita. Al di là di un funerale, dove le persone sono presenti per una specie di “galateo” religioso sono pochi i luoghi e i momenti in cui si possano affrontare e condividere questi problemi seri di liberazione dei peccati, sacrificio e dono personale della propria vita da parte di Gesù per la salvezza, redenzione e speranza di vita eterna…
La Santa Messa: sacrificio dell’Agnello per me oggi!
Un itinerario potrebbe essere la Santa Messa, ritenuta oggi tanto noiosa e poco significativa.
Quell’Agnello che toglie i peccati del mondo, che oggi riattualizza la sua persona e il suo significato redentivo e sacrificale, è presente sull’altare. Queste realtà possono e devono essere rese comprensibili quando ci si incontra con situazioni in cui il dolore, la tristezza e il pianto, non possono essere consolati se non attraverso uno che ha vissuto, ha espiato e ha vinto, nella sua persona, queste realtà onnipresenti nella vita umana.
E poi nei momenti stessi di sofferenza e dolore se non ci si inserisce in Cristo, si gioca al rinvio dei problemi, ma non alla loro soluzione.
Tanto, noi possiamo spostare i paletti, ma inesorabilmente verrà il momento decisivo per affrontarli con responsabilità, senza operare sostituzioni o compensazioni.
Il teologo luterano Bonhoeffer, impiccato il 9 aprile del 1945, prima di svestire gli abiti di prigioniero, s’inginocchiò in profonda preghiera di fronte al suo Signore.
Stava recitando con gli altri prigionieri proprio il brano di Isaia: «per le sue piaghe noi siamo stati guariti». I suoi compagni di cella lo salutarono appena sentirono le guardie che dicevano: “Prigioniero Bonhoeffer, preparati a venire con noi”. Lui disse: “È la fine” e poi: “questo per me è l’inizio della vita”. E scomparve. Aveva 39 anni.
In uno dei momenti di difficoltà aveva rivolto la preghiera all’Agnello e gli aveva detto: “Tu solo mi basti!”.
Anche lui, nel mondo di tenebra, era stato reso luce delle nazioni perché aveva portato, con la sua vita, la salvezza del Signore «fino alle estremità della terra».
(Is 49, 6).