IV Domenica di Avvento
2 Samuele 7 Passim
In quella stessa notte la parola del Signore fu rivolta a Natan: va’ e riferisci al mio servo Davide. Dice
il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa perché io vi abiti? Io sono stato con te dovunque sei
andato. Ti farò grande poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu
giacerai con i tuoi padri, io renderò stabile il tuo regno. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per
sempre davanti a me. E il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.
Luca 1 Passim
L’angelo disse: “Non temere, Maria perché hai trovato grazia presso Dio, concederai un Figlio, lo
darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato -Figlio dell’Altissimo. Il Signore Dio gli
darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre nella casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà
fine.Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la Potenza dell’Altissimo.
Colui che nascerà sarà Santo e chiamato il Figlio di Dio”.
Meditazione
Facciamo una previa considerazione, che voi certamente conoscerete e che è molto importante ai fini
della nostra accoglienza di Gesù per il Natale.
Ogni parola, ogni azione, ogni episodio della vita del Signore non costituisce soltanto una memoria
storica, ma diviene, nella ricchezza della liturgia, una attualizzazione e una ri-presenza per noi di
quanto Lui a sua volta, nel suo tempo ha vissuto. Oggi, Natale del 2023, davvero Gesù nasce per me
sulla terra portando le ricchezze e i contenuti salvifici che allora portò alle persone del suo tempo.
Siamo ormai fermamente orientati, in tensione, verso il Natale, anzi ormai è alle porte. Chi ha
seminato, è giusto che raccolga.
Ma c’è ancora tempo di raddrizzare qualche via storta, cioè qualche nostra intenzione non del tutto
“pura” e avere un atteggiamento tale che rimettendo Gesù al centro, come è doveroso, non tradiamo
la realtà e lo spirito dell’evento.
Nella prima lettura, il Signore dice a Natan di riferire al re Davide, che lui non ha bisogno di una
casa. Anzi sarà lui stesso a dare alla discendenza a David, una casa, una famiglia, una dinastia regale
che non sarà segnata dal tempo, ma sarà eterna.
Gesù “abiterà” di fatto nel grembo di Maria, sposa di un discendente di David, Giuseppe: Lei sarà
l’abitazione di Dio, Lei è la Chiesa, il tempio di Dio.
C’è un’affermazione di Nietzsche, il quale nella sua lucida pazzia paradossalmente colpisce nel
segno: “che cosa mai possono ancora essere queste Chiese, se non le tombe e i monumenti sepolcrali
di Dio?”. Ma già Hegel che filosofava una sorta di panteismo, aveva detto che Dio, espanso in tutto
l’universo, non può essere racchiuso in uno spazio delimitato.
E di fatti dobbiamo dire che Dio, in un qualsiasi luogo di culto, non è imprigionato, ma si rende
presente e disponibile all’uomo.
Non è come pensa lui, ma se anche fosse, come Maria è l’abitazione di Dio, ogni uomo è il luogo in
cui può abitare il Signore. Per questo, potrebbero anche crollare tutti i vari luoghi di culto, ma
nessuno può cacciare Dio dal cuore dell’uomo, almeno che lui stesso, con la libertà che gli è stata
donata, non decidesse di cacciarlo via.
Sappiamo che questa abitazione è soprattutto Maria nel suo grembo: Là il Signore è stato “impastato”
della sua carne a nome di ciascuno di noi. Là, come in un terreno fertile il seme della sua esistenza,
ha dato come ricchezza propria e come regalo prezioso la sua divinità, accogliendo, anche questo
come dono, l’umanità di lei, che poi era quella di tutti noi; là, Lui, l’onnipotente ha cominciato a fare
i conti con i limiti, con gli spazi, con i tempi, con la precarietà e l’insicurezza, con l’inizio della vita
che porta anche al dolore e alla morte.
In questa domenica precedente il Natale, la chiesa Ambrosiana, celebra la festa della “divina
maternità” diventando, per questa comunità cristiana, il titolo più alto che le si possa dare.
Contempliamola allora: è bella, della perfezione che Dio le ha dato perché senza peccato. E suo figlio
le rassomiglia tutto perché non c’è concorso di uomo nella sua nascita.
L’ateo Sartre, uno dei “cattivi maestri”, quando era prigioniero a Treviri, sollecitato dai suoi
compagni di stanza, in occasione del Natale, ha scritto l’opera teatrale Bariona e ha dipinto Maria con
parole delicate e profonde.
E chi è lei, che può dare la vita a Gesù? Lo contempla: gioisce e piange. Gli dona il suo latte e pensa
che un giorno, diventato suo sangue, scorrerà sul suo corpo esanime.
Si stupisce! Quel figlio non è solo suo, è di Dio, è Dio. Dio nelle sue mani, tra le sue braccia, che gli
sorride, a volte piange perché già così piccolo vive tanta sofferenza. Sogna, anche se i sogni si
infrangono perché sa dove finirà la sua vita.
E soprattutto Lui è tutto Lei perché le somiglia in tutto, solo Lei le ha donato la vita, lo ha fatto figlio
dell’umanità; le rassomiglia in tutto e domani ancora di più, nel suo portamento e nel suo stile di vita.
Soprattutto Lei è tempio perfetto della carne di Cristo. Lei è la pienezza della presenza di Dio. Oggi è
rifugio di suo Figlio; domani lo sarà di tutta l’umanità.
Mai come ora, un così grande privilegio, lo accoglie come responsabilità e dono per ogni persona.
Ma al di là di queste pur ragionevoli considerazioni, ognuno di noi, le deve riconoscere un ruolo
centrale nel piano della salvezza dell’umanità: la sua carne, da cui è nato Gesù, è l’espressione di
ogni nostra persona che, in Lei, fa dono al Signore della realizzazione concreta di diventare “uomo”,
“persona” .
La parola “Incarnazione” indica proprio questo inserimento esistenziale di Gesù che diventa uno di
noi.
E senza di Lei, questo non sarebbe potuto accadere.
Diventa anche, Lei stessa, modello di collaborazione con Dio. E insegna a noi, alla ricerca di una
risposta alla fondamentale domanda: “cosa posso fare io per te, tu che hai dato tutto per me?”, a
trovare un ruolo per essere a pieno titolo collaboratori di Dio.
E per farlo, ne abbiamo gli strumenti. Il dono di essere suoi figli, appartenenti alla sua famiglia
divina, ci è stato dato, dal battesimo, come corresponsabilità, per svolgere bene il nostro ruolo di
bravi collaboratori per la salvezza dell’umanità.
Dio ha posto anche in noi la sua abitazione perché anche noi siamo suo tempio vivente, sua “gloria
vivente” come dice San Cipriano.
E cosa ci chiede il Signore perché possiamo rispondere da suoi figli in questa vita?
Di tendere alla santità, senza mezzi terreni, senza compromessi.
Il Natale è l’occasione propizia per farlo. Ma non soltanto con “i fioretti” dell’Avvento, che sono pur
importanti per crescere nella santità, ma con un nuovo stile di vita, Cristiano, totale.
Quando noi siamo consapevoli che ogni fatto e detto della Persona di Gesù, non è una semplice
memoria storica, ma riattualizzazione esistenziale, per noi di ciò che è accaduto, saremmo sciocchi a
non farne tesoro.
Avendo presente le parole di Madre Teresa: “se all’acqua dell’oceano, mancasse la goccia che è la
nostra vita, l’oceano non sarebbe completo” diciamo che se alla famiglia di Dio, mancasse la nostra
santità personale, secondo le nostre capacità e i doni che Dio ci ha dato, il mondo non avrebbe una
santità completa, proprio perché mancherebbe la nostra.
E allora: vogliamo, in questo Natale, alzare l’asticella? Vogliamo, oggi, essere prolungamento della
santità di Dio sulla terra? Vogliamo non sprecare questa occasione di grazia, per essere degni
collaboratori del Signore?
Altrimenti, lo sappiamo, la fine può essere quella di vivere come prima, come sempre, da uomini
mediocri che non si chiedono: “che cosa posso fare per essere santo?”, ma soltanto si auto
giustificano “in fondo, io che male faccio?”.
Chissà che non possa accadere che un domani, dovessimo pentirci di avere trascurato, l’eterno che è
in noi per accontentarci dell’“abituale” che è più a portata di mano! Bisogna tendere in alto.
Conoscete quel fantasioso racconto di Anthony de Mello “messaggio per un’aquila che si crede un
pollo”?
Per caso un uovo di un aquilotto era capitato tra le uova di gallina. Quando si dischiusero,
l’aquilotto viveva con i polli, senza rendersi conto della sua diversità.
Mangiava mangime con i polli e schiamazzava con loro. A volte guardando il cielo, invidiava
gli splendidi voli delle aquile e si chiedeva perché riuscissero a fare tanto. Ma lui si
rassegnava perché era un pollo – così almeno credeva – e non un’aquila.
Non si è mai reso conto che lui aveva delle qualità, capacità, possibilità diverse da quelle dei
polli. Ha finito la sua esistenza da pollo, quando avrebbe potuto vivere da aquila.
Non potrebbe accadere anche noi nella nostra vita cristiana?
Lui non sapeva che la vita è una sola, noi invece sì, o almeno dovremmo saperlo.
Non è superfluo terminare con questa battuta:
Natale: Gesù al centro; Maria al suo fianco.