Abitare gli spazi comuni
A dieci anni dall’uscita della Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, del 24 novembre 2013, vorrei offrire qualche spunto di riflessione sulla vita formativa dei Seminari, come spazio comune che sommamente deve essere abitato dalla gioia del Vangelo. Per dare inizio a questa breve riflessione prendiamo spunto dal Salmo: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1). È certamente cosa assai dolce, bella, vedere i fratelli vivere insieme. Nulla è più dolce e più bello della comunione in ogni ambito dell’umana esistenza e soprattutto in quegli spazi dove si formano i futuri presbiteri che domani dovranno essere gli strumenti sacramentali della comunione di quelle comunità affidate alla loro guida, all’amorevole cura che passa attraverso l’amministrazione della grazia sacramentale e altri delicatissimi ministeri.
La comunione che il Salmo auspica come ideale di perfezione è comunione sia reale che spirituale, sia nelle cose della terra che in quelle dello Spirito. Già nel popolo dell’Antica Alleanza tutta la vita dei figli di Israele era improntata alla realizzazione di questa comunione reale e spirituale, nei benefici e nelle sofferenze. Il Libro della Sapienza fa affondare le radici della comunione nella notte della Pasqua, della liberazione del popolo dalla schiavitù degli Egiziani: I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri (cfr. Sap 18,1-9).
La comunione è dimensione essenziale di un popolo e di qualunque comunità. Non ultima la comunità particolare che è il Seminario. Ma come il popolo del Signore aveva nel Decalogo il fondamento della comunione, anche il nuovo popolo del Signore ha un fondamento di vita in comune: le Beatitudini con tutto il discorso della Montagna.
Però bisogna essere realisti e nessuno può pensare che si entri in Seminario con una vita già ben radicata nel Vangelo di Cristo. Tuttavia, la vita comunitaria non solo è necessaria alla formazione; è necessario che essa sia resa il luogo per eccellenza dove si impara a vivere e a costruire la comunione. La comunione, infatti, è come una casa. Non basta che sia fondata su buone fondamenta, la casa della comunione – e san Giovanni Paolo II auspicava che la Chiesa del Terzo Millennio lo diventasse: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo» (Novo millennio ineunte 43) –, è necessario che la casa della comunione sia edificata per poi poter essere abitata.
A questo proposito la via necessaria da percorrere perché gli spazi comuni, del Seminario e di ogni altra comunità (famiglia, parrocchia, società…), siano abitati con spirito di gioia evangelica (EG) e secondo la spiritualità della comunione (cfr. Nm 43ss.), non potrà che essere il vangelo vissuto. Il gaudio del vangelo non è altro che la vita nel Vangelo, e il Vangelo che si fa vita esige che si acquisiscano quelle virtù che il Vangelo contempla e chiede. Virtù necessarie affinché non si distrugga, non s’indebolisca, non s’incrini la comunione necessaria al Corpo di Cristo che è la Chiesa per adempiere la sua missione. Se mancano le virtù non si possono abitare gli spazi comuni.
Il Seminario è il luogo per eccellenza nel quale è necessario che si imparino e si acquisiscano le virtù che saranno necessarie al futuro presbitero per abitare gli spazi comuni del Presbiterio diocesano, in perfetta armonia e comunione. Infatti nel Collegio Leoniano tra i molteplici spazi comuni dove il seminarista può abitare si distacca la sala ricreazione, spazio in cui, nei momenti di svago, si può creare comunione e condivisione. Uno spazio dove, sia vicini al camino, durante l’inverno, per riscaldarsi, sia radunati in cucinetta per prendersi un caffè, oppure, fare la merenda; oppure, ancora, guardando il telegiornale, la sala ricreazione si torna un’ambiente propizio per avviare una chiacchierata, per stare insieme con i fratelli. Inoltre, il seminario, attraverso la sala ricreazione, offre, durante l’arco dell’anno formativo, degli eventi, che permettono la partecipazione attiva di tutti, sia giocando, ballando, cantando, facendo una piccola scenetta… come, ad esempio: l’Oktoberfest; la festa della cioccolata calda; cene multietniche, oppure, con delle pietanze proprie di ogni territorio diocesano; la festa di carnevale. Questi sono alcuni dei momenti in cui si cerca di coltivare, ancor di più, l’unione e la fraternità fra tutti.
Cristo riuscì ad abitare gli spazi comuni che frequentò per la sua grande e illuminata sapienza di Spirito Santo, e in modo specialissimo per due virtù nelle quali Egli stesso si pone come modello: la mitezza e l’umiltà (cfr. Mt 11,25-30).
Con la mitezza egli percorse le vie della storia sottoponendosi al limite, al peccato degli uomini, riuscendo a farsi carico di essi senza tuttavia coltivare nel suo cuore neppure un pensiero di male verso alcun uomo e neppure verso i suoi persecutori. Con la mitezza egli si manifestò uomo forte nella sofferenza, in qualunque sofferenza, e con questa fortezza mai indietreggiò dal cammino intrapreso.
Con l’umiltà Cristo aderì al progetto salvifico che il Padre aveva scritto sul rotolo del libro, per lui e mai si discostò da esso (cfr. Sal 39 e Eb 10). La virtù dell’umiltà permette che ci si consegni a Dio, alla Parola rivelata e scritta, ad ogni suo desiderio su di noi, vivendola tutta nella nostra vita, aiutati e sorretti dalla grazia, nella più alta santità.
Altra virtù che Cristo visse al sommo della sua perfezione e chiese di vivere ai suoi discepoli fu la prudenza (cfr. Mt 10,16). Della prudenza il Catechismo dice: «La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo» (cfr. CCC 1806).
Parlando delle virtù non si può non fare almeno un cenno ad un grande cultore di esse: l’Apostolo Paolo. Egli fu cantore di molte virtù necessarie a condurre una vita gaudente nel Vangelo e ad abitare, in modo edificante, gli spazi comuni di ogni comunità. Lui le pratica, le conosce, le insegna, le indica in una molteplicità di scritti. Tra i tanti elenchi di virtù che san Paolo raccomanda attingo qualche virtù (cfr. 1Tm 3,2-3) di quelle che egli raccomanda a quanti si candidano ad una vita di speciale consacrazione nel ministero ordinato:
Sobrio: La sobrietà è vera manifestazione di libertà interiore da ogni cosa di questo mondo, ad immagine di quella di Cristo Gesù; viverla permetterà di essere equilibrati nel mangiare, nel vestire, nell’uso di ogni altra cosa.
Dignitoso: La dignità deve riguardare l’anima, lo spirito e il corpo. L’anima sarà dignitosa quando si troverà nella pienezza della grazia. Lo spirito sarà dignitoso quando sarà coltivato in ogni sapienza e intelligenza dello Spirito Santo e ciò dovrà emergere anche dalle parole che si proferiscono. Il corpo sarà dignitoso quando non mostrerà segni di trasandatezza o di adeguamento alle mode del mondo. La dignità è vera bellezza spirituale che traspare da tutta la persona di un ministro.
Non dedito al vino: è virtù che dice il governo della persona e la capacità, in qualunque momento di esercitare un retto discernimento.
Non violento, ma benevolo: la violenza non compie mai la giustizia, la verità, il bene gradito a Dio, e pertanto mai potrà essere usata da chi è chiamato ad essere operatore di pace. Ai suoi discepoli Cristo impedisce sia la violenza fisica e, non meno, quella verbale e comportamentale. I gesti, le parole, i comportamenti di un operatore di pace sono tutti improntati a benignità, arrendevolezza, grande carità. La benevolenza è richiesta dalla predicazione del Vangelo che mai potrà essere imposta ad alcuno. La verità si vive, si ama, si predica nel rispetto dell’altro, senza imposizione, con dolcezza, misericordia, con la stessa carità di Cristo. La benevolenza esige pazienza e immensa sopportazione, senza le quali non si può edificare alcuno spazio comune, né tantomeno abitarlo.
Non litigioso: La lite come via e forma per risolvere i problemi non appartiene a Cristo, non deve appartenere a nessun uomo che in qualche modo rende presente Cristo.
Queste virtù, prese in un numero assai ridotto, sono solo alcune perle della sapienza neotestamentaria (il gaudio del Vangelo), necessarie perché la vita comune sia resa non solo possibile ma anche affascinante e soave come cantava il Salmo. Esso svelava la dolcezza della vita in comune dei fratelli, ma non svelava la via perché questo fine sia conseguito. Per questo dopo averlo citato si è messo mano per far emergere concretamente come la soavità della vita comune possa essere lentamente e faticosamente perseguita: per mezzo della coltivazione delle virtù. Più virtù si conseguiranno e si praticheranno in una comunità più gaudente ed edificante sarà abitare lo spazio comune.
Il messaggio che si è potuto attingere dai testi citati, in ordine al nostro tema, è l’assoluta necessità delle virtù come via per l’edificazione e la custodia della vita comune. Senza virtù e senza vangelo vissuto, abitare insieme diventa difficile, quasi impossibile. La virtù, invece, è la via maestra perché si possano edificare comunità permeate dalla spiritualità della comunione.
Gustavo Luiz De Carvalho Mendes